Nel seguito pubblichiamo il testo di un'
intervista ad Arnaldo Nesti, dal titolo
Il sociologo. Modelli antropologici e religiosi.
In particolare, l'intervista, a cura di
Vittoria Prisciandaro, della rivista
Jesus, è l'anticipazione di un dossier che sarà pubblicato a maggio da
Mosaico di pace, rivista di riferimento di Pax Christi.
IL SOCIOLOGO. Modelli antropologici e religiosi. Intervista
D. Quali sono i modelli antropologici emergenti nella nostra società, e in che misura si relazionano al fenomeno religioso? Il sociologo Arnaldo Nesti, direttore della rivista «Religioni e Società» e del Centro Internazionale di Studi sul Religioso Contemporaneo (CISRECO), suggerisce un parallelo interessante tra la cultura mordi e fuggi e la fruizione del prodotto religioso.
R. “Nel paesaggio socio-antropologico contemporaneo uno dei connotati emergenti sembra essere la fretta, l’esigenza di velocemente raggiungere luoghi, progetti, obiettivi piccoli e grandi. Non c’è tempo da perdere per niente e per nessuno. In questa situazione non ha senso la lentezza. Anche le migrazioni in massa dalle grandi aree africane verso l’Occidente assumono il ritmo di una rapida trasmigrazione dove rapidamente si alternano morte, tragedia, attraversamenti di distanze e di differenze secolari. La presenza nel mondo contemporaneo di numerose forme di gite-pellegrinaggio non porta automaticamente a desumere che noi viviamo in una società spirituale al cui centro stanno le chiese e i valori del cristianesimo. Oggi, infatti, siamo di fronte a un cattolicesimo al cui interno sono rilevantissime le forme magico-sacrali. Se esaminiamo le moderne devozioni, per esempio quelle rivolte a s. padre Pio, o le pratiche dell’ultimo anno giubilare, scopriamo che alla base delle condotte dei pellegrini c’era l’esigenza di lucrare non il giubileo, ma dei vantaggi per la salute, il lavoro, o per ragioni affettive ed emozionali. Insomma, il cattolicesimo indagato nel Sud da Ernesto De Martino (1908-1965) ha cambiato volto, ma non è venuto meno il tessuto connettivo e la fenomenologia di quel tipo di cattolicesimo diffuso. Si può constatare la mutazione socio-antropologica del soggetto sociale, ma rimane persistente il tipo di simboli, di pratiche, di meccanismi terapeutici… Per molti aspetti si è di fronte a una fenomenologia del sacro che ha traslocato, ha assunto la legittimazione sacrale di fronte alla secolarizzazione, al relativismo, al soggettivismo relativista”.
D. Esiste però ancora una pratica del pellegrinaggio proposto come cammino interiore. Penso per esempio ai tanti che stanno riscoprendo gli antichi itinerari medievali…
R. “In un tempo in cui tutto tendenzialmente è subordinato al primato della mercificazione e del consumismo il silenzio, la lentezza, il nomadismo e il pellegrinaggio assumono un nuovo valore, nuove possibilità di dare senso al vivere, all’esistere. Per esempio lo stesso pellegrinaggio sulle piste del Camino di Santiago di Compostela assume valore spirituale non tanto per le pratiche cui si sottostà per rafforzare la schiena, per distendere i muscoli e per la capacità acquisita a respirare. E neanche per il fascino di camminare per tre settimane nel nord della Spagna verso una cattedrale barocca con uno zaino di dieci chili sulle spalle: il valore dell’esperienza pellegrinale, il rapporto dell’uomo col camminare scaturisce da ragioni altre, dal combinare lentezza, fatica, riflessione, dunque da un nuovo modo di guardare il mondo”.
D. Da un punto di vista sociologico, in questo contesto culturale, nell’immaginario collettivo il male che significato assume? E quale atteggiamento pastorale si riscontra da parte della Chiesa istituzionale?
R. “Una grande dicotomia attraversa l’immaginario del male nella nostra cultura, riconducendone l’origine alla colpa o all’errore. Ci si trova di fronte a un duplice processo, di privatizzazione e di socializzazione del male: privatizzazione nel senso che in molte delle sue fattispecie esso viene derubricato a faccenda di pertinenza morale dell’individuo, socializzazione nel senso che in altre sue manifestazioni diventa conseguenza di disfunzioni organizzative della società. La secolarizzazione mette al bando la connessione male-diavolo, trasforma il peccato in crimine e cessa di considerare l’uomo essere decaduto bisognoso di redenzione.
La Chiesa istituzionale mentre prende consapevolezza di queste molteplici linee di tendenza, privilegia un’affermazione della negatività del peccato con un approccio a questi fenomeni fatto sulla base di considerazioni astratte, che non fanno i conti con l’effettiva situazione dell’uomo reale. Un approccio che più che pastorale sembra essere moralistico, centrato da una parte su problematiche di carattere teologico, che fanno appello al rapporto tra diritto naturale, ragione e fede; e dall’altro richiamando le implicazioni etico politiche del cattolicesimo. Per cui davanti a certe linee di tendenza che mettono in risalto la complessità dell’uomo e l’autonomia dei soggetti, si fa ricorso a categorie che sono esterne a quella che è l’esperienza effettiva. Davanti a questo paesaggio si ha l’impressione che la Chiesa non si renda conto della mutazione antropologica radicale che c’è nella vita contemporanea e al tempo stesso del nuovo rapporto uomo natura e uomo storia. Su questi limiti affiorano polemiche, prese di posizione e si allarga il gap tra esperienza del credente e vita della Chiesa”.